Uccidere per gioco

UCCIDERE PER GIOCO
“Affronti gli ostacoli nella vita reale come fai con quelli sullo schermo? Sfoderando la tua aggressività?”

IL CECCHINO IN PRIMA PERSONA
Quando ha iniziato a giocare ai videogame di guerra nel 2009 Lanza era un 17enne smunto e asociale a cui era stata diagnosticata la sindrome di Asperger, una forma di autismo. Questo nella vita reale. Nella realtà virtuale dei videogiochi era un’altra persona: un soldato tutto muscoli con un berretto nero e un mitra.
Nelle missioni che sceglieva in Combat Arms i giocatori dovevano ammazzare un tot numero di persone il più velocemente possibile, anche se per fare quel numero in casi estremi dovevano puntarsi il fucile addosso e farsi fuori e Lanza era ossessionato da questo gioco. Nel 2011 è passato da Combat Arms ad altri videogiochi violenti come Call of Duty e
Call of Duty: Modern Warfare 2, e anche lì l’obiettivo era ammazzare più nemici possibile.
Se Lanza fosse nato solo 25 o 30 anni prima avrebbe fatto fatica a conoscere quel genere di violenza anche nei videogiochi. All’epoca i principali videogiochi erano Pac Man e
Donkey Kong. Il cambiamento verso un mondo virtuale più violento è avvenuto negli anni Novanta con lo sviluppo di una nuova figura nei giochi: il cecchino che spara in prima persona. Sono usciti titoli come Wolfenstein 3D, Doom e altri che permettevano ai giocatori di vedere il mondo non da fuori ma dal punto di vista della persona che sparava. Nei dieci anni
successivi i cecchini in prima persona sono diventati sempre più popolari.
“Per molti versi era la cosa più semplice da fare”, ha detto Walt Williams, disegnatore e scrittore di trame di videogame, quando gli hanno chiesto perché la violenza è così dilagante nei videogiochi. Quasi tutti i videogame operano sullo stesso principio: danno ai giocatori degli ostacoli da superare, pixel da cliccare per procedere.
Creare questi ostacoli sotto forma di persone, e farli sparire tramite pallottole virtuali, è una delle soluzioni più semplici per gli sviluppatori.
Ma Williams crede che l’attrattiva della figura del cecchino in prima persona abbia ragioni più profonde. “Penso sia collegata a una fantasia di potere”, dice. “Ti trovi in una situazione che ti rende potente e il potere ha sempre un suo fascino.”


INSENSIBILI ALLA MORTE E AL DOLORE
Come reagisce il corpo quando quel potere si traduce nell’ammazzare un essere umano virtuale su uno schermo? Numerosi studi hanno dimostrato un aumento di molti parametri: pressione sanguigna, battito cardiaco, livelli dell’ormone dello stress.
In poche parole anche se la violenza non è reale il corpo reagisce come se lo fosse.
Ancora più affascinante è quello che succede nel cervello. In uno studio tedesco del 2011 i ricercatori hanno mostrato scene violente tratte dal videogame Counter-Strike a giocatori con esperienza di cecchini in prima persona. In teoria la presenza di immagini negative dovrebbe attivare la corteccia laterale prefrontale del cervello, un’area coinvolta nei processi e nel controllo emotivi. Nei partecipanti a questo studio invece quest’area del cervello ero molto meno attiva. Erano come desensibilizzati alla morte e al dolore.
Naturalmente la fisiologia è una cosa mentre il comportamento è un’altra. Una serie di studi dagli anni Novanta ai primi anni 2000 hanno dimostrato che giocare con i videogame violenti porta, perlomeno a breve termine, a sviluppare atteggiamenti, emozioni e azioni più aggressivi. In uno degli studi più citati, pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology nel
2000, alcuni studenti in età da college dovevano giocare o al videogame violento Wolfenstein 3D o al non violento Myst.
Dopo il gioco dovevano rispondere a un questionario progettato per valutare le loro attitudini ed emozioni e infine dovevano prendere parte a un’attività competitiva in cui dovevano strombazzare agli avversari.
Gli studenti che avevano giocato a Wolfenstein 3D non solo si sono dimostrati più aggressivi ma hanno strombazzato più a lungo agli avversari rispetto a chi aveva giocato a Myst. La violenza virtuale, in altre parole, sembrava spingerli ad agire più aggressivamente nel mondo reale.


IL COLLEGAMENTO TRA VIDEOGAME E VIOLENZA
Studi più recenti suggeriscono che la propensione all’aggressività non scompare necessariamente qualche minuto dopo la fine del gioco. Una ricerca pubblicata nel 2008 nella rivista Paediatrics ha misurato l’aggressività dei ragazzini americani e giapponesi in due tempi diversi, con un intervallo di 3-6 mesi. Chi abitualmente giocava a videogame violenti era tendenzialmente più aggressivo durante il primo periodo di valutazione e il livello di aggressività aumentava durante la seconda valutazione. Un altro studio, pubblicato sulla rivista
Developmental Psychology nel 2012 ha considerato la correlazione tra videogame e aggressività negli adolescenti. Nessuno di questi studi però ha evidenziato un collegamento diretto tra videogame e comportamento violento. E questo è importante perché c’è una differenza sostanziale tra aggressività e violenza: l’aggressività è un comportamento che ha lo scopo di ferire psicologicamente gli altri, la violenza invece li ferisce fisicamente. Ma questo non significa che possiamo stare tranquilli. “Sono molto più preoccupato del genere di aggressività che viviamo nella quotidianità”, dice Doug Gentile, un professore di psicologia alla Iowa State University. Si riferisce al modo in cui interagiamo gli uni con gli altri: se qualcuno ti urta lo consideri un
incidente o una provocazione? Ti arrabbi facilmente? Affronti gli ostacoli nella vita reale con la stessa aggressività che ti permetti nella vita virtuale? La ricerca finora suggerisce che per i giocatori seriali di videogame la risposta a queste tre domande è sempre sì.
Gli studi suggeriscono anche che i videogame, che ti coinvolgono in prima persona in quello che succede sullo schermo, sono più potenti dei media passivi come i film e la tv. In uno studio
del 2008 i partecipanti, ragazzi tra i 10 e i 13 anni, facevano una di queste tre cose: giocare a un videogame violento, guardare qualcuno giocare a quel videogame o giocare a un videogame non violento. Al termine dell’attività i ragazzi che avevano giocato al videogame violento risultavano i più aggressivi del gruppo. Curiosamente, nelle ragazze l’aggressività non cambiava in nessuna di queste tre attività: secondo i ricercatori potrebbe dipendere dal fatto che i ragazzi partecipanti allo studio giocavano a videogame violenti anche al di fuori dello studio mentre le ragazze non erano molto interessate a questa attività. I ragazzi in altre parole erano più aggressivi perché erano già stati esposti in precedenza alla violenza dei videogiochi.
Per Doug Gentile nessuno di questi effetti è sorprendente. Quando hai a che fare abitualmente con la violenza nel mondo virtuale a suo parere alleni il tuo cervello a pensare in una certa maniera che poi si manifesta anche nella vita reale.