La metafora del cammino viene utilizzata per parlare della vita troppo spesso da chi cammina poco o non lo fa affatto. Per questo, sentirla pronunciare da Marco Maccarini, simbolo di Mtv (e non solo) per intere generazioni, non è banale, nemmeno scontato o fuori luogo. Anzi.

Lui cammina, cammina davvero. Zaino in spalla ha girato, e continua a girare, l’Italia e l’Europa. Raccontando e raccontandosi sui social, soprattutto Instagram, senza la pretesa di ergersi a profeta, tutt’altro.

"Lo faccio con leggerezza, mi diverto e faccio divertire. Parlando del cammino e della vita: ci si perde, si inciampa, si cade, ci si rialza, a volte si va piano altre molto veloci, ci sono giorni in cui siamo molto stanchi altri invece che non ci ferma nessuno. Giorni in cui si cammina da soli, in silenzio, altri in cui si fanno incontri bellissimi, meravigliosi. Quelli che ti cambiano la giornata, il cammino, la vita".

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Marco Maccarini tra Mtv, teatro e voglia di staccare

Torinese, classe ’76, i suoi rasta biondi hanno accompagnato i pomeriggi di migliaia (o forse sarebbe meglio dire milioni) di millenials che lo seguivano, insieme a Giorgia Surina, nelle tv a tubo catodico nei pomeriggi dopo la scuola, oppure aspettavano di vederlo affacciarsi dalla terrazza di piazza Duomo.

La music television, icona di un’epoca; poi il Festivalbar, a coronare una carriera iniziata prestissimo, decollata in men che non si dica, proseguita a tutta velocità. Marco continua a fare quello che ha sempre fatto, anche se lontano dai contenitori più pop e main stream, cioè le tv commerciali.

"Presento, lavoro con le aziende, faccio uno spettacolo di improvvisazione teatrale a Torino. Mi sono fermato con la radio e la televisione, avevo sentito il bisogno di staccare; volevo la possibilità di scegliere cosa fare e di essere veramente me stesso quando stavo in pubblico. Non mi sentivo più in quella condizione".

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per Men's Health, Duccio Brachi

L'arte di saper rallentare

Il cambio, si potrebbe dire “di passo”, è avvenuto per la prima volta nel 2005. "Ho fatto per la prima volta il Cammino di Santiago, in estate. La mia vita, fino a quel punto, l’avevo vissuta a 300 all’ora. Ero su una Ferrari, lanciato in corsia di sorpasso. E non è un giudizio di merito: io ero contento, ero entusiasta della mia vita. Avevo iniziato giovanissimo con la tele-visione, avevo energia, era un mondo meraviglioso e io stavo bene. Sentii però il bisogno di rallentare. Per me era fondamentale trovare degli spazi di lentezza".

Dentro l’abitacolo di una Ferrari che viaggia senza sosta, di fretta, non c’è tempo e spazio per ammirare il panorama: "Quando vai molto veloce, riesci a mettere a fuoco solo quello che è molto lontano. Le cose più vicine diventano una specie di macchia colorata, uniforme; non si riescono a distinguere i dettagli. Quando si va a passo lento, invece, si ammira tutto anche da vicino. Ecco, quella condizione di lentezza era necessaria nella mia vita, per riaprirmi gli oc-chi e anche il cuore".

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Non solo Santiago e la Francigena: tutti i cammini di Marco Maccarini

Così Marco, dopo quel viaggio organizzato un po’ a caso sulla via che conduce fino a Compostela, ha scoperto proprio nel cammino quella dimensione catartica ed empatica capace di restituirgli fiato, di ossigenare quella vita a 300 all’ora. Cambio di passo, cambio di ritmo necessario.

"Sono tornato a Santiago, a completare il cammino, anche l’anno successivo. E ho trovato nei cammini e nel camminare il mio modo per recuperare. In fondo noi umani siamo esseri camminanti, dobbiamo riuscire a recuperare questa dimensione primordiale. Il cammino mi offre sfumature profonde, mi fa confondere con l’ambiente naturale attorno, mi fa scoprire posti che non conosco, mi fa passare del tempo con me stesso, in solitudine. Questo aspetto è uno di quelli che più mi affascina: cammino per ore in silenzio, da solo, e poi quando arrivo in un paese mi riconnetto con la realtà, con la società".

Dopo Santiago Marco ha camminato in Liguria, sulla Via Francigena, sulla Via del Sale. E poi il Giro dei Laghi del Nord Italia, la Svizzera, la Via degli Dei che collega Bologna a Firenze, un sentiero sulla cresta dell’Appennino che divide Emilia e Toscana. La scorsa estate la Via di Francesco, percorsa anche con un fine sociale, per raccogliere fondi per l’associazione Pangea Onlus.

"Mi facevo ospitare per pranzo, cena e notte. È stato bellissimo. Mi sono ritrovato in una cena di famiglia con parenti e nipoti. Questa filosofia del viandante mi piace molto: io non chiedo, ma accetto". Uno zaino, un bastone, un saio: l’ultima avventura Marco l’ha percorsa così, con semplicità. Sotto gli occhi incuriositi di chi lo guardava e non si aspettava di vederlo lì, così, camminare: "In realtà, però, nella vita ho notato che si è sempre fuori contesto. La classica domanda Ma cosa ci fai tu qui? ce la faranno sempre: dal macellaio, al cinema, in vacanza dall’altra parte del mondo, in una serata di gala tirato a lucido, oppure in cammino con uno zaino e un cappellino in testa. In realtà io quando cammino sono talmente me stesso che mi sento sempre nel posto giusto".

Camminare e cambiare

Camminare è un modo per cambiare. Cambiare noi stessi, la nostra forma fisica, anche quella mentale: per guardare la vita da un’altra prospettiva, per rallentare, per prendersi del tempo.

"Lo consiglio vivamente. Camminare è per tutti". Raccontare, quello no, non è da tutti. Marco lo fa con la naturalità di sempre, che sia in radio, in tv o davanti alla telecamera del suo smartphone per una diretta o per un video da postare sui suoi canali social. "Io non parlo dei cammini dal punto di vista tecnico. Non parlo di scarpe, accessori, abbiglia-mento. Non consiglio allenamenti o altro. Però parlo a tutti, voglio che tutti si sentano chiamati a poterlo fare, voglio che tutte le persone si possano sentire, anche solo per un attimo, con me, lungo il percorso".

Sogna di fare un cammino insieme ai figli (15 e 12 anni): "Ecco, loro sono stati un altro meraviglioso cambio di vita e di prospettiva. La nascita dei miei figli mi ha cambiato in meglio. In un certo senso mi ha tolto dall’imbarazzo di fare quello che non mi andava più di fare. Sono molto presente in casa, ho passato e passo molto tempo con loro. Quando ero ragazzo, nel boom della carriera, mi sentivo che verso i trent’anni avrei dovuto rallentare: avevo già individuato le flessioni della mia vita, vedevo il grafico del mio futuro e ho pensato che avrei dovuto fermarmi, avere dei figli, spendere del tempo con la mia famiglia. E, combinazione, è andata proprio così".