LA NOSTRA INTERVISTA A LUCA ARGENTERO
Doc ci dice che siamo cambiati. Tu, Luca, quanto ti senti cambiato negli ultimi anni?
Doc mi ha cambiato la vita in moltissimi modi. A prescindere dal successo della serie, mi ha cambiato perché non avevo mai affrontato un progetto così lungo e faticoso. Non avevo mai affrontato una lunga serialità. Unico altro esempio era il primissimo lavoro della mia carriera, ma in quel caso non ero il numero 1, ero il 6 o 7. Stare sette mesi sul set tutti i giorni, con una bambina piccola, impone un cambiamento di vita, diventa un investimento non soltanto emotivo rispetto alla recitazione, ma un investimento familiare. Ho avuto la fortuna di avere una moglie che ha deciso di starmi a fianco.
E la pandemia ti ha spinto a cambiare?
La pandemia durante la prima stagione è arrivata tra capo e collo. Ci mancavano due settimane alla fine delle riprese. Poi abbiamo ripreso a lavorare ma era tutto condizionato dai protocolli. Durante il lockdown, avevamo paura che parlare di medici fosse controproducente. Invece ha funzionato, le persone si sono affezionate alle storie di questi medici che in quel momento erano l’ultima linea di difesa di tutti. Abbiamo contribuito a rendere giustizia al lavoro che stavano facendo. È stata la prima serie in Italia a parlare di Covid. Forse è stato catartico. Sicuramente lo è stato per me.
Gli attori cambiano spesso. Qual è stato il cambiamento che ha segnato di più la tua vita?
La genitorialità, essere padre. Cambio di vita totale. Banale, ma è così. La vita, quando diventi papà, cambia assetto. L’attenzione si sposta da te o dalla tua compagna a un terzo soggetto, che è un estraneo che piomba in famiglia e devi imparare a conoscere. Modifica la quotidianità.
E sei contento?
È il cambiamento migliore della mia vita in assoluto. La cosa più importante è trovare la persona giusta con cui diventare genitore, la mia fortuna non è stata solo avere una bimba bellissima ma una donna incredibile come Cristina.
Facciamo ancora un passo indietro. Grande Fratello, poi modello, quindi attore. Quando hai capito che questa era la tua vita?
Non è una cosa che ho deciso. È successa, con “Carabinieri”, quello è stato il mio primo set. E ho visto che mi piaceva. Mi divertivo. Ho pensato che se fosse stato il mio mestiere sarei stato felice. Ero a mio agio. Da lì in avanti c’è lavoro di studio, costruzione…e di tantissimo culo. Riuscire fin da subito di attirare attenzione di registi importanti mi ha permesso di affrancarmi dall’inesperienza e dall’assenza di una preparazione accademica. Quel passaggio me lo hanno fatto fare i film per cui sono stato scelto. I registi che mi hanno scelto hanno visto che c’era materiale su cui investire, si sono fidati.
Il ruolo più bello in cui ti sei calato?
Ci sono tantissimi film a cui sono molto affezionato. A livello di preparazione personale credo che la cosa che mi ha coinvolto di più, forse anche il film meno visto in assoluto, è “Copperman”. Cosa molto particolare, una favola, portavo in scena una sindrome. Anche lo svolgimento sul set è stato molto intenso. Per me è stata una esperienza incredibile, mi ha fatto crescere, cambiare, ripartire.
Il regista con cui sogni di lavorare?
Se devo fare un nome internazionale, io dico Danny Boyle. Sono un suo fan. È uno dei miei registi preferiti. Come forse solo Kubrik è uno che ha affrontato tutti i generi, ha fatto di tutto. La sua grandezza è quello. Pensando all’Italia, invece, ti faccio i nomi dei nostri grandi autori. Sorrentino, Garrone. Quelli che riescono a fare qualcosa che ha valore anche oltre i confini nazionali.
Beh, in realtà anche Doc è andato oltre i confini nazionali.
Sì. America, Sud America. Ed è stato un grande successo. Una cosa assurda, totalmente inaspettata.
A proposito di cambiamenti, reciti anche a teatro. Quanto ti piace?
Moltissimo, soprattutto il teatro che sto provando a fare. L’idea è condizionata dal rapporto con Edoardo Leo, è lui che mi ha introdotto a questa forma di teatro, che è storytelling, teatro di parola, non prosa classica. Credo che la generazione giovane viva il teatro come qualcosa di stantio, faticoso, che puzza di muffa. Abbiamo provato a fruttare anche la popolarità che viviamo in questo periodo per offrire a tutti, anche a quelli che non vanno solitamente a teatro, quelli che vengono e a fine spettacolo di vogliono fare una foto con me, qualcosa di diverso. Le persone non si aspettano nulla dal mio spettacolo. Poi però escono divertite. Anche i social, che sono lo specchio della realtà, dicono che funziona.
Ora sei in tv con una nuova serie, “Le fate ignoranti”. Cosa ti ha convinto a questo ennesimo cambiamento?
Ferzan. Su un set di Ferzan porterei anche solo i caffè. C’è sempre da imparare con lui. È una persona che è diventata negli anni un amico oltre che un regista da cui sperare di essere chiamati. Ero molto felice di poter lavorare ancora con lui, dopo una decina di anni. Io ho fatto nuove esperienze, nuovo bagaglio di vita, non ho avuto dubbi.
Ti vedremo in un ruolo in cui ti eri già misurato in passato…
Sì ma è diverso. È una storia dove la sessualità è il vero mistero. Parliamo di un uomo che è sposato con una donna, poi muore e fa scoprire che aveva anche una storia d’amore con un uomo. Queste due persone scoprono poi di avere qualcosa in comune. L’identità di genere tanto dibattuta in questo periodo va a farsi friggere quando è amore vero.
Dobbiamo guardarlo perché?
Perché è l’esordio di Ferzan su una serialità così lunga. Questo, da solo, vale. È una forma di espressione completamente diversa dal cinema. Ma lui riesce sempre a mantenere quella stessa magia sul set.
Torniamo a te. Hai detto che essere padre ti ha cambiato la vita. Ma in cosa?
In tutto, è esperienza rivoluzionaria. Pensiero, emotività, fisico, è uno stravolgimento a 360 gradi. Come guardi il mondo, come guardi te stesso, lei, la tua famiglia, i tuoi genitori che invecchiano. Il passaggio a genitore ti fa essere anche un figlio diverso. Capisci quello che hanno fatto per te i tuoi genitori.
Negli ultimi anni c’è stato un cambio importante anche a livello sentimentale. Cosa ha trovato in Cristina che ti stava mancando?
Cristina è una unicità. Non la penso paragonata a nulla. È la sua specialità che è incredibile. Spinge costantemente sull’acceleratore di essere la migliore versione di sé nei confronti di suo marito e ti fa venire voglia di essere la tua migliore versione per lei. Vive una continua sfida a rendere la vita dell’altro migliore. Lei è un valore aggiunto per la mia vita. E poi, vabbè…
Cosa?
È gioiosa, intraprendente, forte, cazzuta, bellissima. Ha tanti pregi e tante qualità. Ma sono tutti aspetti quasi secondari rispetto alla sua attitudine nei confronti dell’amore.
Tu hai cambiato spesso anche luogo dove vivere. Ora, a Milano, ti senti a casa?
Ci sono stato ancora troppo poco per sentirla davvero casa. Sono stabile da pochissimi mesi. Però è stata una decisione consapevole. Dopo Torino e Roma mi sentivo pronto per Milano. Poi Cristina è di Milano. La sua famiglia è qua, e avere l’appoggio della famiglia, con una bimba piccola, è fondamentale.
Veniamo al fisico. Sappiamo dei tuoi problemi con la schiena. Ma come ti alleni a tutti questi continui cambiamenti?
Io sono completamente condizionato da una delle tante doti di Cristina, che è imprenditrice del benessere. Befancyfit è uno stile di vita, è il suo stile di vita. Ed è diventato anche il mio. Non ho scoperto solo un modo di allenarmi ma una impostazione di vita. Ennesimo cambiamento.
Nel concreto?
Befancyfit è un programma che è un mix di alimentazione, allenamento. Chiede di dedicarsi una parte di tempo per sé, per stare bene. Io sono piuttosto trasandato, non sono sempre stato abituato a prendermi cura, a fare qualcosa per sentirmi bene. Ora sono acciaccato perché negli ultimi nove mesi ho tolto tempo all’allenamento e ovviamente superati i quarant’anni il fisico va allenato. O almeno, così è per me. Se mi lascio un po’ andare e mi alleno meno, il corpo ne risente. Ho imparato che devo tenermi in forma. Se no ne risente tutto il meccanismo, anche mentale.
In cosa credi, anche dopo i quarant’anni, di dover cambiare ancora?
Mi devo allenare a cambiare. Ho difetti caratteriali. Invecchiare vuol dire diventare un po’ più saggi, capirsi un po’ meglio. Ho tanti difetti da modificare. Tendo a essere permaloso, a offendermi facilmente, quindi so di dover migliorare sul carattere. Sul fisico no, non mi interessa più, mi basta stare bene e tenermi in forma. A proposito, Befancyfit è un programma completamente orientato al mondo femminile, ma ora con Cristina stiamo pensando, attraverso di me, di aprirlo anche al mondo maschile. Sono tanti quelli che ne gioverebbero, che hanno bisogno di una spinta per innescare quella voglia di cambiamento, che cercano una motivazione per fare sport, cambiare alimentazione, mettersi a dieta. Insomma, di prendersi cura di sé.
Chiudiamo con una domanda sull’attualità. Dopo la pandemia, ci è entrata in casa, attraverso le immagini dei tg, la guerra. C’è qualcosa per cui lotteresti per non cambiare?
Forse non prenderei mai un’arma. Riesco solo a immaginare di poter dare la mia vita per qualcuno, per Nina o Cristina. Mi metterei in mezzo tra un’arma e loro.