Fino a poco tempo fa - stiamo parlando di pochi mesi - cercavamo di capire e di aiutare gli adolescenti che erano colpiti dalla sindrome di Hikikomori, in pratica quella dipendenza per la quale i ragazzi si chiudono in camera e rifiutano ogni aiuto.

La sindrome descrive la quotidianità di adolescenti che vivono in un loro universo parallelo e che hanno come unica finestra sul mondo il Pc, i social, la tecnologia. Si discuteva su come aiutarli, soprattutto psicologicamente e come noi adulti “saggi” avremmo potuto indicare loro la strada per vivere il mondo più felicemente.

Poi è arrivato il Coronavirus, con tutte le restrizioni che ha comportato, e quindi, per un paradosso che mai ci saremmo immaginati, sono i ragazzi ora a insegnarci come sopravvivere in un mondo da “reclusi” che ci appare artificiale e oppressivo.

La sindrome di Hikikomori non va certamente eletta a nuova ragione di vita, ma è l’occasione di interrogarsi sulle presunte nostre certezze e sulle verità che ci eravamo creati. E' il momento di chiedere, molto umilmente, aiuto alle generazioni più giovani, in grado di superare questo momento con maggior disinvoltura.

Per capire e andare oltre ataviche certezze assunte a verità assolute basta, molto semplicemente ripercorrere le parole del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che diceva, a proposito della verità, «Noi crediamo di sapere qualcosa sulle cose stesse, quando parliamo di alberi, di colori, di neve e di fiori, eppure non possediamo nulla». Come assunto conclusivo: «La nostra verità non è che un mobile esercito di metafore».

Adattiamoci quindi, facciamoci aiutare (dalle nuove generazioni) e programmiamo un futuro diverso senza lasciarci imprigionare mentalmente da certezze assolute e definitive.