LA NOSTRA INTERVISTA FEDERICO PELLEGRINO
Il primo percorso che racconta, però, è il suo: quello che va dai Giochi di Sochi del 2014 a quelli di Pechino del 2022, passando per Pyeongchang nel 2018. Un viaggio che l’ha trasformato, da giovane brillante ma confinato all’undicesimo posto, nel campione che contro ogni pronostico conquista un argento.
E poi si riconferma quattro anni dopo: stessa gara, stesso risultato. In uno sport di fatica come il suo dove l’età pesa, ha il sapore dell’impresa. "Pechino era la mia grande occasione e me la sono giocata, anche se arrivarci a 32 anni, dopo due di pandemia e un cambio di allenatore complicava le cose. La dimensione era “ora o mai più” che però è molto mia: io ogni gara importante la vivo come se il mondo finisse quel giorno. Ma di solito punto a dare il meglio di me, non a vincere. A Pechino invece volevo il podio a tutti i costi, e infatti sono arrivato con le energie mentali azzerate. Il giorno prima della gara mi sono detto: mollo tutto e me ne torno a casa".
Come hai iniziato a praticare sci di fondo?
I miei genitori erano entrambi appassionati. A Nus, il mio paese (vicino ad Aosta, ndr) non c’era uno sci club di sci alpino. Però c’era e ancora c’è una delle piste di fondo più belle delle Alpi, un anello di 30 chilometri immerso nella natura. Lì vicino i miei nonni avevano una casa dove passavamo tutte le vacanze di Natale. La scelta è stata naturale.
Come si sopporta la fatica da bambini?
Da bambino la fatica non la senti, e se la senti comunque non la identifichi come una cosa brutta. Se arriva attraverso il gioco, impari ad amarla e quell’amore resta. Per me almeno è stato così. Infatti, mi diverto ancora tantissimo.
Crescendo, il rapporto con la fatica cambia?
Per me, no. A me la fatica piace e so che per reggerla serve una sola cosa: allenarsi di più. Quando mi sembra troppa, non uso tecniche mentali alla Zanardi, tipo che quando stai per mollare ti imponi di tener duro altri cinque secondi e poi altri cinque. Il pensiero non è mai “come ne esco”, ma “come faccio a non trovarmi più in questa situazione”. Allenarmi meglio o di più, mi ha fatto vincere tante gare senza sforzo.
Il corpo che ne dice?
Trova il modo di farti rallentare. Fa crescere il lattato nelle gambe per dire che tutto quell’ossigeno nei muscoli non riesce a mandarlo. Invece noi sportivi al fisico continuiamo a dare legnate. Un approccio mentale che chiunque pratichi sport di resistenza si ritrova anche nella vita di tutti i giorni.
La tua pista del cuore?
A Saint-Barthélemy, in Valle d’Aosta, dove sono cresciuto. È una valle laterale poco conosciuta che negli anni in cui le altre località hanno investito nello sci alpino non ha creduto nel cambiamento. Si sono perse opportunità economiche, ma si è preservata una natura incontaminata. Quei 30 chilometri aprono scenari che raramente capita di vedere altrove: radure, qualche rifugio, stalle. In certi punti neanche prende il telefono, cosa che non guasta visto il bisogno di detox che tutti abbiamo. Per capire il fondo devi andare lì.