Se ne sono dette tante circa i veicoli di trasmissione del virus: alcune ipotesi plausibili, altre assurde, altre ancora da verificare. Ora una conferma, poco incoraggiante, arriva dalla scienza: è certa la presenza del Coronavirus nel particolato atmosferico. Oggi più che mai ci rendiamo conto di quanto l'inquinamento sia presente nella quotidianità (grazie al fatto che il lockdown ci ha offerto un clima migliore un po' in tutta Italia). Si pensi a quanto smog respiriamo quando facciamo attività fisica in città all'aperto. Chi poi in questi giorni sta facendo ginnastica o corsa in giardino e vicino casa, avrà sicuramente osservato quanto l'aria sia sensibilmente meno inquinata.

Dal punto di vista della scienza, questa scoperta, “apre la possibilità di avere un indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del Coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell'inizio di una nuova epidemia”. È quanto emerge da una ricerca condotta dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) con le università di Trieste, Bari, Bologna e l'Ateneo di Napoli “Federico II”. Attenzione, per sgomberare il campo da panico e commenti scomposti, chiariamo che il fatto che il virus viaggi nelle particelle dello smog non significa che siamo automaticamente di fronte a una nuova via di trasmissione.

“Possiamo confermare di aver dimostrato la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele”, afferma Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca. “Le prime evidenze relative alla presenza del Coronavirus sul particolato - spiega Setti - provengono da analisi su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti dal 21 febbraio al 13 marzo”.

Se è vero che dobbiamo rassegnarci al fatto che il particolato tornerà a crescere non appena torneremo a uscire con le auto e le fabbriche torneranno in piena produzione, la sfida della scienza è quella di trasformare l'inquinamento in un marker. Si deve verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. “Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti”, spiegano gli scienziati.

Quanto scoperto non attesta con certezza che vi sia una nuova via di contagio, ma a questo punto conviene a tutti tenere conto della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus”.

L'epidemiologo Prisco Piscitelli ricorda un dettaglio non di poco conto: “Esposizioni croniche ad elevate concentrazioni di particolato atmosferico, come quelle che si registrano oramai da decenni nella Pianura Padana, hanno di per sé conseguenze negative sulla salute umana, ben rilevate e quantificate dall'Agenzia Europea per l'Ambiente, rappresentando anche un fattore predisponente a una maggiore suscettibilità degli anziani fragili alle infezioni virali e alle complicanze cardio-polmonari”.

Dunque è arrivato il momento di affrontare il problema, riducendo la mobilità automobilistica e promuovendo la bici, e perché no, anche la corsa. Il running commuting, ossia i pendolari che vanno al lavoro di corsa, sono una realtà in Gran Bretagna e negli Usa. A maggior ragione, possono trovare spazio anche da noi.