La dipendenza da internet e dai device elettronici, come ogni dipendenza, maschera profondi problemi personali e familiari. Uno dei modi in cui reSTART aiuta i pazienti sono le cosiddette “impact letters”. Si tratta di lettere scritte da persone che hanno a cuore il paziente in cui ne descrivono il comportamento e come questo abbia influenzato negativamente le loro vite. Ogni persona legge per la prima volta la lettera rivolta a lui ad alta voce davanti a tutti. Il paziente di oggi è un autistico altamente funzionale che leggerà una lettera scritta da suo padre. Nella lettera il padre spiega come non riuscisse a far alzare suo figlio dal divano e come suo figlio puzzava così tanto che sua madre non riusciva a stare nella stessa stanza con lui. Il paziente smette di leggere a metà lettera, dice che non riesce ad andare avanti. Si mette a piangere, è sconvolto e ammette di aver sprecato la sua vita. Il resto del gruppo resta in silenzio. Poi riprende in mano la lettera e finisce di leggerla: la cosa più disgustosa, dice suo padre, erano le sue mutande così sporche da essere ormai diventate marroni, le indossava per intere settimane. Alla fine uno degli altri pazienti chiede se la sua igiene è migliorata da quando fa parte di reSTART. Lui tace, poi ammette che sono cinque settimane che non si lava.
Un ex giocatore di football di 1 metro e 90 si offre di svegliarlo tutti i giorni alle 7 e di stare davanti alla porta del bagno mentre lui si fa la doccia, così da “obbligarlo” a lavarsi. Il ragazzo dice che la doccia lo terrorizza, come anche farsi vedere nudo da un’altra persona. Poi ci fa una confessione: ha mentito a tutti, e anche a se stesso, sulla sua dipendenza. Non è dipendente dai social, il problema è che passa sei ore al giorno a guardare video porno con gente travestita. Al termine dell’incontro siamo orgogliosi che sia riuscito ad ammettere il suo problema. Gli assicuriamo che è troppo giovane per aver sprecato la sua vita e tante possibilità e occasioni lo aspettano.
Quando ci alziamo per andarcene lui chiede se è troppo tardi, stasera, per farsi una doccia. Ovviamente no. Prende un asciugamano pulito, chiedendo a tutti se sia di qualcuno (è terrorizzato di usare un asciugamano sporco). Poi sentiamo l’acqua che scorre e qualcuno di noi si commuove.
Il mattino dopo mi svegliano alle sette per un’altra giornata di incontri con i pazienti, di lettura, di esercizio, di pulizia, cucina e di gestione della noia. Sto iniziando ad accettare l’assenza dei device elettronici. Il telefono mi manca di meno e ho meno paura di perdermi messaggi importanti.
Alla fine della giornata prendo l’aereo per tornare a casa. Quando atterro accendo lo smartphone per prenotare un taxi che mi riporti a casa. Sono stato senza smartphone per due giorni e sette ore e ho accumulato 4 messaggi vocali, 16 sms e 136 email (oltre a newsletter o spam). Le gestisco in meno di un’ora, durante il tragitto verso casa. È piacevole rispondere alle mail perché in questo caso non è un’interruzione di un altro lavoro ma il lavoro stesso. E anche se tutto quello che temevo è successo, rispondere con tre giorni di ritardo non è stata una tragedia. Anzi, nessuno se n’è nemmeno accorto. Ho deciso di cancellare Twitter e Facebook dallo smartphone (li guarderò sul computer, quando non sono in giro).
Il mattino dopo, mentre sto preparando mio figlio di 8 anni per la scuola, lui mi chiede se ho imparato a usare di meno il cellulare. Io gli rispondo di sì. Lui mi racconta di quando stavamo giocando a un gioco da tavolo insieme e io continuavo a interrompermi per rispondere alle email. Gli dico che non succederà più. Accetterò la noia e i momenti morti e apprezzerò il tempo che passo con mio figlio, anche perché lui è una delle cose veramente belle della mia vita, il momento felice che ho visualizzato durante la meditazione. Ho perso talmente l’abitudine a provare emozioni che faccio fatica addirittura ad essere felice.