Sanremo è Sanremo, punto. E’ italiano come la pizza, come gli spaghetti, come le crisi di governo quando arriva l’estate. Quando febbraio si avvicina, dopo mesi in cui ci si è nutriti di gossip e indiscrezioni definitive (‘Ma ci sarà Nigiotti?’, ‘Chi saranno le vallette d Amadeus?’) i devoti e i denigratori del Festival si ricontattano e si ricompattano, scattano gli appuntamenti per i gruppi di ascolto e i messaggi sdegnati sui social: «figuriamoci se lo vedo», «per carità, a me piace la vera musica». Ma come dice giustamente Marino Bartoletti, che del Festival della Canzone Italiana - perché è di questo, l’avrete capito, che stiamo parlando - della Settimana Santa della nostra tv e del nostro cuore melodico è l’Omero e l’Ariosto, l’aedo e il cantore, il testimone principe e primo innamorato, «Sanremo sono anche coloro che dicono di non guardarlo («più» o «mai») e il giorno dopo ne parlano (e ora ne scrivono) come se - curiosamente - non se ne fossero persi neanche un secondo. Sanremo è scandalo e convenzione, regola ed eccezione».

Sono righe strappate alla bella, rigorosa, commovente prefazione all’imprescindibile - ebbene sì - volume che Bartoletti ha dedicato alla sua altra, e forse prima, grande passione oltre allo sport: L’Almanacco del Festival (Gianni Marchesini edizioni, 384 pagine 29,90 euro).

Quest’anno, poi, di una delle grandi sagre (e saghe) italiane scattano i 70 anni, un’edizione storica, probabilmente memorabile, quindi la strenna arriva come una benedizione, l’esortazione ad un percorso fra Inferno e Paradiso del festival di cui Bartoletti è l’ironico ma devotissimo Virgilio.

Dentro ci trovate il racconto di tutte le edizioni, da Nilla Pizzi a Mamoud, una vertigine sociologica che ci descrive forse meglio di un trattato, e poi le classifiche - chi non ha provato ad anticiparle? Chi non ne ha dubitato in maniera sacrilega? - il dettaglio di ogni serata, i profili dei grandi protagonisti. E poi l’analisi delle canzoni vincenti e di quelle simbolo (sì, sì, c’è anche Fiumi di Parole dei Jalisse), le classifiche di vendita per anno in Italia e nel mondo, gli eventi che hanno accompagnato ogni annata, l’elenco di tutte le canzoni presentate, il dizionario - quasi struggentemente fantozziano per come unisce i mega direttori galattici della nostra canzone ai ragionieri Filini del vibrato dimenticato. E poi le statistiche, tutte quelle potete immaginare e desiderare.

Un volume da leggere, rileggere, un manuale consultare freneticamente nelle serate in cui i vostri mariti o mogli sembrano impazziti, tralasciano la puntata di Masterchef o la Juve in Champions League per delibare, incantati, il ritorno di Albano o l’epifania di un nuovo rapper urbano. Ma è anche, soprattutto, un atto d’amore e insieme uno studio rigoroso che fa capire perché, alla fine Sanremo nonostante i decenni, quasi i secoli che passano, resta Sanremo, e ci irretisce e ci definisce, ci incanta o ci fa orrore (e a volte ci incanta proprio perché ci fa orrore). E la dimostrazione, plastica, è la polemica feroce che nei giorni scorsi è scattata sulla partecipazione della giornalista Rula Jebreal e della divisiva Rita Pavone.

Perché Sanremo è una cosa seria. Popolare, viva, rivelatrice, socializzante, persino politica. «E chi non se n’è accorto - scrive il maestro Bartoletti e pensa solo a un grande baraccone con pajettes, lustrini e televoto, probabilmente ha perso un’occasione che non esito a definire culturale. Perché la cultura va cercata anche nelle sue manifestazioni apparentemente meno convenzionali, anteponendo perlomeno la curiosità alla puzza sotto al naso».

Poi ci sono le folgorazioni, come quella di Carlo Conti, che del Festival si innamorò sentendo Lucio Dalla cantare 4 marzo 1943, o Renzo Arbore che una conduzione l’ha barattata con la possibilità di cantare sul mitologico palco dell’Ariston, di Pippo Baudo, che del Festval è quasi sinonimo, che lì sopra fu costretto ad interrompere Luis Armstrong. Diciamo quindi grazie dei fiori che ha colto per noi a Marino Bartoletti, e buttiamoci a riscoprire il Duo Fasano e Achille Togliani; Claudio Vlla e Jula de Palma, Mimmo Modugno e Joe Sentieri, Bobbi Vinton e l’Equipe ’84, Memo Remigi e Roberto Vecchioni, Toto Cutugno e Anna Oxa, Gepy & Gepy (ve l’eravate dimenticato, eh?), Pierangelo Bertoli e Giorgia, Annalisa Minetti e gli Avon Travel, Tony Renis e Francesco Renga, Povia e Francesco Gabbani. Leggete, rileggete, ascoltate. E rassegnatevi: Sanremo è il nostro Karma.

Chi è l'autore

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Marino Bartoletti, romagnolo, laureato in Giurisprudenza, è uno dei più noti e apprezzati giornalisti e conduttori italiani.

Definirlo “sportivo” è quasi riduttivo rispetto alla gamma delle sue attività: anche se le dieci Olimpiadi e i dieci Campionati del Mondo di calcio (assieme a centinaia di altri eventi) raccontati dal vivo, la direzione di testate prestigiose sia in tv che nella carta stampata, l’ideazione e la conduzione di trasmissioni storiche (dalla “Domenica Sportiva”, al “Processo del Lunedì”, a “Pressing”, a “Quelli che il calcio”), la direzione dell’Enciclopedia Treccani dello Sport potrebbero…farlo pensare.

In realtà è considerato anche uno dei massimi critici musicali italiani e soprattutto uno dei massimi esperti del Festival di Sanremo di cui è stato, oltre che opinionista e giurato, anche selezionatore delle canzoni e degli artisti in gara (sia fra i big che fra i giovani).

In questo Almanacco, che in tanti attendevano, ha cercato di utilizzare in pari misura competenza e passione, facendone uno strumento quasi unico di consultazione storica e musicale.