Vita e videogame

“Nella vita reale uccidere è un’esperienza traumatica. Ma nei videogame, dove può succedere centinaia di volte al minuto, perde ogni valore e significato.”

GLI ADULTI NON SANNO DI CHE COSA SI STA PARLANDO
Anche il professore di psicologia Chris Ferguson è stato ragazzo. Era un fan di Dungeons & Dragons, un gioco di ruolo che andava di moda qualche decina di anni fa e che a detta di molti cattolici conservativi spingeva i suoi appassionati ad adorare il demonio (altri invece credevano che li spingesse a organizzare eventi rinascimentali in costume). Nella stessa epoca su alcuni album musicali sono comparsi adesivi che avvertivano i genitori che certa musica poteva corrompere l’anima dei loro ragazzi.
Questi due eventi hanno reso Ferguson, che oggi ha 42 anni, sospettoso nei confronti di gruppi di adulti che reagivano in maniera eccessiva a ciò che non capivano. “Chiaramente gli
adulti non sapevano di che cosa stavano parlando, non conoscevano nessuna delle due realtà”, dice. È diventato ancora più scettico quando, da adulto, ha letto una ricerca in cui si dava
per certo il collegamento tra i media violenti e il comportamento aggressivo, paragonandolo al legame che c’è tra il fumo e il cancro ai polmoni. Assurdo!
Gran parte della carriera di Ferguson è stata rivolta a scardinare l’idea di un collegamento scientifico tra i media violenti (in particolare i videogame) e i comportamenti violenti nella realtà. Tanto per cominciare Ferguson mette in dubbio la metodologia di molti studi sostenendo che molti mancano di standardizzazione, che non tengono conto delle differenze tra sessi e che non misurano necessariamente quello che sostengono di misurare.
Porta spesso come esempio uno studio del 2004 che voleva dimostrare come i videogame rendano aggressivi gli studenti del college. Il metodo scelto dai ricercatori per dimostrare questa tesi consisteva nel chiedere ai partecipanti di trovare la lettera mancante nella parola explo_e. I partecipanti che avevano giocato a videogame violenti tendevano a trasformare la parola in explode mentre il gruppo di controllo sceglieva più spesso explore. Ma basta questo giochetto enigmistico a dimostrare che si trattava di persone aggressive?
Ferguson mette in dubbio anche il tipo di pubblicazione scelto: alcune riviste pubblicano studi che dimostrano un certo risultato escludendo a priori quelle che non lo sostengono o lo confutano. Infine, Ferguson ha condotto diversi studi negli anni e sostiene che nessuno è riuscito a dimostrare significativi effetti negativi dei videogame violenti.


ATTENZIONE ALLE MALATTIE MENTALI
In uno dei suoi studi più recenti, pubblicato nel gennaio 2014, Ferguson ha analizzato la domanda che molti si sono fatti nel corso degli anni: i videogame violenti sono particolarmente pericolosi per persone con condizioni di salute mentale preesistente, in particolare per i bambini a cui è stata diagnosticata una depressione o un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività? Lo studio, che è stato pubblicato nel Journal of Youth and Adolescence, non ha trovato prove di comportamenti violenti o di bullismo tra i ragazzi partecipanti allo studio che giocavano a videogame violenti.
A differenza di Doug Gentile, e di altri ricercatori che ritengono che i videogame condizionino il cervello e lo spingano a reagire in un certo modo alle minacce vere o presunte, Ferguson dice che la nostra materia grigia è in grado di distinguere tra scenari fantastici e minacce reali e rispondere quindi in maniera diversa.
Una prova, secondo lui, è il fatto che anche se negli ultimi 13 anni i videogame sono diventati sempre più popolari non c’è stato un aumento della criminalità. Anzi: negli USA il 2012 è stato l’anno con il tasso di criminalità più basso degli ultimi 32 anni.
E tutti quei ragazzi che hanno imbracciato un’arma e hanno ammazzato decine di persone a scuola ed erano patiti di videogame? Dare la colpa ai videogiochi oggi è come quando vent’anni fa dicevano che Dungeons & Dragons crea i satanisti, così dice Ferguson, e ci impedisce di vedere qual è il vero problema che accomuna tutti questi casi di sparatorie: una malattia mentale non curata.


E VISSERO FELICI E CONTENTI (SPARANDO)
Chi ha ragione? E soprattutto: come possiamo evitare altre tragedie annunciate? Dopo la sparatoria del Connecticut il presidente Obama ha chiesto al Congresso di finanziare altre
ricerche sugli effetti dei videogame violenti.
Negli ultimi anni il creatore di videogiochi Walt Williams è sempre più preoccupato non tanto della violenza dei videogame ma della loro banalità per i giocatori.
“Nella realtà uccidere è un’esperienza traumatica”, dice Williams. “Ma nei videogame succede centinaia di volte al minuto e perde valore e significato.”
Nel 2012 è uscito un nuovo videogame alla cui creazione ha contribuito anche Williams. Si chiamava Spec Ops: The Line e rappresentava in modo più realistico la violenza e i suoi effetti. A un certo punto, per esempio, il protagonista del gioco, un soldato di nome Walker, si trova davanti alla possibilità di aprire il fuoco su un gruppo di civili ostili ma innocui per sopravvivere. Man mano che la missione procede Walker (ossia il giocatore) si trova davanti a molte sfide morali oltre che fisiche. Williams dice che una delle idee per lo sviluppo del gioco era: “andresti
avanti se sentissi su di te la responsabilità di una morte?”
Spec Ops: The Line ha ricevuto critiche positive ma di sicuro non ha venduto come Grand Theft Auto. Dovendo scegliere tra pura fantasia di potere e sfida morale forse il mercato ha già detto la sua. Ci piace la fantasia pura e ci piace sparare.
Senza però nessun effetto reale, nemmeno sulle nostre coscienze. Sperando che sia davvero così e che poi tutti si possa vivere assieme nel migliore dei modi.