L’estate è quasi arrivata e la voglia di saltare in sella e partire inizia a farsi sentire. Questo è il momento in cui molti biker tirano fuori lo spirito avventuriero che hanno dovuto reprimere per gran parte dell’anno. Uno di loro è il maestro della fotografia Toni Thorimbert, amante delle due ruote e fedele alla sua affezionatissima Yamaha.

L’intervista

L’occasione per incontrare il maestro della fotografia Toni Thorimbert ci viene da un post del suo blog. Parla di una visita all’EICMA (Esposizione Mondiale del Motociclismo), l’appuntamento milanese con il mondo del motociclismo. “Spero tanto di poterci tornare quest’anno (8-13 novembre 2016)”, confessa a Men’s Health con un pizzico di nostalgia. Nel suo blog descriveva la manifestazione come “roba da bambini grandi alla quale non mi sono certo tirato indietro, con l'aggravante di esserci andato volutamente da solo per godermela fino in fondo”. Ma di quel post e di quella visita colpiscono le immagini: particolari di motori e dettagli delle moto in esposizione ritratti come se fossero organi di un corpo vivo e pulsante. Non a caso, Toni ha sempre parlato della sua Yamaha come di una persona e da piccolo sognava di essere un campione di motociclismo…

MH: Partiamo da qui: Toni Thorimbert e la sua moto.
È un rapporto che parte da lontano, negli anni '70 quando con mio fratello giravamo l’Europa. Anche se il mio approccio con la moto non è mai stato più di tanto legato al viaggio e alla strada. Io ho sempre avuto un amore “sportivo” verso il mondo motociclistico. Tanto che adesso, praticamente, corro quasi solo in pista.

MH: Cade un primo pregiudizio. Da un maestro che ha fatto del realismo la sua cifra artistica ci saremmo aspettati di incontrare una sorta di Jack Kerouak della fotografia. E invece?
Non voglio negare che la moto sia comunque un viaggio. Però sulla pista il viaggio diventa interiore. In pista si entra in contatto con i propri limiti e non si può mentire. Si capiscono quelli da superare e quelli da accettare.

MH: Anche quando lavori usi la moto. Sul tuo blog ti abbiamo visto in un momento di “vita spericolata” con Nina Zilli.
Eravamo in campagna e pioveva a dirotto. Nina, che è una motociclista, correva come una sorta di Mad Max in gonnella sulla sua due ruote. Io scattavo in camera-car e cioè seduto di spalle sulla sella di un’altra moto guidata da Roberto Ungaro. E, all’improvviso, una caduta rovinosa. Inutile negarlo: il lato spericolato della moto esercita su di me un grande fascino.

MH: Volevi fare il campione di motociclismo, sei diventato un maestro della fotografia a livello mondiale. Quando hai capito che la tua vocazione era dietro l’obiettivo?
Fin dall’inizio, quando ero un fotografo “concerned” (ndr. impegnato, concentrato sui temi sociali), ho subito realizzato che la fotografia è la chiave di accesso a molti mondi, a molte situazioni. A volte comuni, altre straordinarie. Per me è comunque un’avventura. Io ho mantenuto la mia identità di fotografo “della strada”, di reporter, ne ho fatto la mia cifra artistica e l’ho portata ovunque.