Siamo pieni di stress e di dolori non solo per il nostro modo di vivere moderno ma anche, incredibilmente, per la nostra postura scorretta (l’abbiamo analizzata qui) e per il nostro modo errato di respirare, ovvero di petto invece che usando il diaframma.

Quando non è sotto tensione il diaframma ha una forma a paracadute. Quando inspiri si contrae, aumentando lo spazio nella gabbia toracica e permettendo ai polmoni di espandersi. I muscoli intercostali aiutano a fare più spazio spingendo le costole verso l’alto e verso l’esterno quando si ispira. Quando il petto si espande la pressione interna diminuisce, risucchiando l’aria e riempiendo i polmoni. Quando si espira il diaframma e i muscoli intercostali si rilassano e, aumentando la pressione e diminuendo lo spazio, l’aria viene spinta fuori. Nella fase di espirazione quindi non si fa nessuno sforzo.
Nonostante sia questo il modo corretto di respirare sono pochissimi quelli che lo mettono in pratica. Tutto dipende da quanta parte del diaframma aderisce alla gabbia toracica contro le costole, la cosiddetta “zona di apposizione”. Più diaframma aderisce alla gabbia toracica più efficace è la respirazione e più sono stabili la spina dorsale, i fianchi e il torace.
Se la zona di apposizione è ampia il diaframma agisce come una specie di sturalavandini, risucchiando l’aria nei polmoni. Si può anche contrarre in sincronia con gli addominali e il pavimento pelvico. Insieme questi muscoli creano una sorta di ventosa aumentando la pressione intraaddominale e la stabilità. È un meccanismo potentissimo e capace di sostenere più di 490 kg (il record del mondo nello squat). Se vi siete mai chiesti perché chi fa sollevamento pesi trattiene il respiro questa è la risposta.
Per la maggior parte di noi però il diaframma non è mai nella posizione corretta per sostenere la postura o il respiro ideali. La nostra tendenza a girare il corpo verso sinistra non permette alla ventosa dei muscoli di aderire. Il pavimento pelvico si abbassa e la cassa toracica e il diaframma salgono. La zona di apposizione si perde e il principale muscolo che dovrebbe occuparsi della respirazione smette di funzionare correttamente.
Altri muscoli corrono in suo aiuto per sostituirlo. La gran parte del lavoro la fanno i muscoli intercostali, insieme ai muscoli scaleni e ai pettorali. E così facendo finiamo per respirare di petto. Respirare in questo modo non è corretto e alla lunga provoca tutta una serie di effetti collaterali, dovuti al fatto che per il cervello se respiri di petto significa che sei in pericolo.
Quando devi scappare per metterti in salvo da un pericolo il cervello recluta per primi i muscoli della respirazione meno efficienti: anche se per esempio stai cercando di seminare un orso che ti insegue non devi assolutamente stancare il muscolo respiratorio più efficace, ovvero il petto. Lo devi tenere in standby nel caso le cose si mettano ancora peggio. Ma il cervello è un organo strano, che reagisce anche alle apparenze: non devi essere veramente in pericolo perché il cervello entri in modalità sopravvivenza. Se respiri di petto il cervello pensa che tu sia in pericolo e per reazione scatena il panico, inondando l’organismo di ormoni dello stress come il cortisolo e l’adrenalina e così alla lunga il sistema cardiovascolare si affatica.
La tensione cronica nei muscoli che dovrebbero essere accessori in fase di respirazione può portare all’emicrania, al dolore a collo e spalle e al mal di schiena. È un circolo vizioso: lo stress ci porta a respirare male e il respirare male provoca stress.